29 Mag 2025, Gio

Ma il libro della Carpenito, l’avete mai usato nei reparti?

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Il libro di Linda Juall Carpenito sulle Diagnosi Infermieristiche, è un punto di riferimento nella formazione sanitaria. Viene proposto come base per apprendere un metodo strutturato di pensiero clinico: formulare diagnosi infermieristiche, definire obiettivi (NOC), scegliere interventi (NIC), costruire piani assistenziali coerenti.

Durante gli studi, rappresenta un passaggio obbligato. Ma una volta arrivati nei reparti, è legittimo chiedersi: questo metodo viene davvero usato?

Molti operatori risponderebbero con un semplice “no”, almeno non nel modo completo e sistematico illustrato nel testo, se non in poche realtà.

È la solita storia della differenza tra teoria e pratica?

Nei contesti di cura, la documentazione infermieristica tende a essere essenziale e focalizzata sugli aspetti più immediati dell’assistenza. Le note riportano di frequente solo condizioni e azioni: “allettato, assistenza per igiene”, “paziente disorientato, richiede supervisione”, anche se le cose stanno migliorando continuamente anche su questo fronte.

Le ragioni di questa apparente assenza delle nozioni di Carpenito, sono concrete:

  • Il tempo è limitato. Le attività si susseguono con ritmi serrati e margini di manovra spesso ridotti.
  • I sistemi informatici non aiutano. Le piattaforme in uso privilegiano la velocità di inserimento dati, non l’approfondimento del ragionamento clinico.
  • La cultura organizzativa resta legata alla prassi. In molte strutture, l’attenzione si concentra sul fare piuttosto che sul riflettere.

Questo non significa che la teoria non abbia valore. Ma spesso sembra restare confinata nella memoria scolastica, senza trovare uno spazio operativo reale.

A cosa serve allora la teoria?

Il modello della Carpenito non nasce per complicare il lavoro, ma per aiutare a organizzare il pensiero clinico. Conoscere le diagnosi infermieristiche e saperle formulare non serve solo a scrivere bene una scheda: serve a leggere meglio le situazioni, a cogliere collegamenti, a ragionare con maggiore profondità.

Chi ha acquisito questa logica riesce a porsi domande più mirate:
Cosa sta comunicando questo segno?
Qual è il bisogno reale dietro un comportamento?
Quale intervento ha più probabilità di produrre un cambiamento?

Anche se non sempre si ha tempo per scrivere tutto questo, il fatto di saperlo pensare cambia la qualità delle decisioni.

Integrare il metodo nella pratica

Il punto non è applicare meccanicamente ogni componente del modello, ma saperlo usare quando serve.
Nella pratica quotidiana, può tornare utile in diverse situazioni:

  • Quando si accompagna uno studente e si vuole spiegare in modo chiaro il ragionamento dietro a un’azione.
  • Quando si affronta una situazione incerta e bisogna definire le priorità.
  • Quando si collabora con altri professionisti e occorre chiarire i criteri con cui si propone un intervento.

Integrare il metodo teorico nella pratica significa allenarsi a pensare meglio, anche nei momenti in cui si agisce in fretta. Questo tipo di ragionamento non rallenta il lavoro, ma lo rende più efficace. Permette di evitare automatismi, riconoscere segnali deboli, e adattare gli interventi in modo più mirato.

Il metodo proposto da Linda Carpenito non si vede spesso nei documenti clinici, ma può essere presente nel modo in cui si osservano, si valutano e si affrontano le situazioni. La teoria non garantisce da sola una buona assistenza, e non deve essere per forza una teoria usata universalmente, ma fornisce gli strumenti per costruirla con più consapevolezza.

Nel lavoro sanitario, la differenza non si gioca solo su cosa si fa, ma anche su come si arriva a farlo. Allenare il pensiero con modelli strutturati come quello della Carpenito aiuta a non perdere di vista il senso delle proprie azioni, anche quando la routine tende a ridurle a semplici gesti.

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