29 Mag 2025, Gio

La prima volta che ho sbagliato: cosa ci insegna l’errore in corsia

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L’errore che ti segna

La prima volta che ho sbagliato ero un apprendista. Era uno di quei turni pieni, con mille cose da fare e poco tempo per pensarle. Avevo ricevuto un’informazione a voce, da un collega di fretta. Non avevo fatto domande, non avevo ricontrollato. Un gesto semplice, quotidiano, fatto meccanicamente, che avrebbe potuto avere conseguenze. Nulla di grave, per fortuna, ma sufficiente a farmi sentire come se mi si fosse aperta la terra sotto i piedi.

Per giorni mi sono portato addosso quella sensazione. Il nodo allo stomaco, il senso di colpa, la vergogna. Non dormivo, ripensavo al momento mille volte. In testa avevo una sola frase: “Non sono fatto per questo lavoro.” Per un attimo ci ho creduto davvero. Poi, piano piano, ho iniziato a parlarne. Con un collega più esperto che ha ascoltato senza giudicare, con una docente che ha trasformato l’accaduto in un’occasione didattica. Non mi hanno detto “va tutto bene”. Ma mi hanno aiutato a capire che sbagliare fa parte del percorso. E che la vera differenza sta nel cosa fai dopo.

L’errore non è l’eccezione

Chi lavora nelle cure lo sa: l’errore non è una rarità. È una possibilità costante. Il contesto è spesso complesso, le informazioni incomplete, la pressione alta. Il margine per lo sbaglio esiste, anche quando non dovrebbe. Ciò non significa che l’errore sia accettabile, ma che va gestito con maturità. Va riconosciuto, analizzato, trasformato in apprendimento. Per fare questo serve una cultura che accolga l’errore come fase del processo e non come fallimento personale.

Oltre la cultura della colpa

Purtroppo, la cultura della colpa è ancora radicata in molti ambienti. Chi sbaglia si sente giudicato, tende a nascondere, teme di essere etichettato come incapace. Ma il silenzio ha un prezzo: gli errori non condivisi si ripetono, si moltiplicano, diventano sistemici. Al contrario, parlarne è un atto di responsabilità, verso se stessi e verso gli altri. Gli errori dichiarati diventano strumenti di prevenzione, occasioni di miglioramento, leve per rafforzare la fiducia e la collaborazione.

In questo contesto, chi ha un ruolo di guida – formatori, responsabili, tutor – ha il compito di creare spazi protetti dove si possa parlare senza paura. E soprattutto, dovrebbe avere il coraggio di condividere i propri errori, umanizzando l’esperienza professionale. I modelli infallibili non aiutano nessuno. Chi comincia ha bisogno di esempi reali, con tutti i dubbi e le incertezze del caso.

Nella formazione professionale

Nella formazione professionale, sia quando ci si trova in aula sia all’interno di un reparto lavorativo, la pratica del formatore di condividere i propri errori rappresenta non solo un’opportunità preziosa per crescere professionalmente, ma anche uno strumento didattico di grande valore. Parlare dei propri errori consente di instaurare un clima di fiducia e apertura tra il formatore e i partecipanti, creando un ambiente di apprendimento più umano e collaborativo. Questa modalità di comunicazione si rivela fondamentale per diversi motivi.

In primo luogo, il formatore che condivide i propri errori dimostra umiltà e consapevolezza, caratteristiche che ispirano gli allievi a sentirsi liberi di ammettere e discutere le proprie difficoltà. Questo atteggiamento contribuisce a costruire una cultura aziendale basata sull’apprendimento continuo, dove gli errori sono visti non come fallimenti, ma come opportunità di miglioramento e crescita. Quando un formatore racconta un’esperienza negativa personale, gli studenti possono sentirsi incoraggiati a vedere le proprie sfide sotto una luce diversa, imparando a interpretare gli errori come un passo naturale del processo di apprendimento.

In secondo luogo, il narrare errori passati può arricchire il contenuto formativo aggiungendo elementi concreti e reali alle nozioni teoriche. I formatori possono utilizzare le proprie esperienze per illustrare concetti complessi, rendendo l’insegnamento più pratico e rilevante. Questo approccio esperienziale facilita l’apprendimento utilizzando storie e casi di studio che stimolano l’interesse e l’attenzione dei partecipanti, aiutandoli a comprendere meglio come applicare le competenze acquisite in situazioni reali.

Infine, includere gli errori nel processo di formazione permette di sviluppare una mentalità orientata al problem-solving. Gli allievi imparano a ripercorrere i passi che hanno portato a un errore, analizzare le cause, e quindi sviluppare strategie per evitare di commettere gli stessi errori in futuro. Questo tipo di analisi critica non solo migliora la qualità del lavoro, ma rafforza anche l’autoefficacia e la resilienza, strumenti essenziali in un contesto lavorativo sempre più dinamico e complesso.

L’errore non ti definisce

L’errore non è il tuo nome. È un passaggio. Una tappa. Una lezione, se vuoi ascoltarla. Tutti sbagliano: l’importante è cosa fai dopo. Ti blocchi, o cresci? Ti chiudi, o apri un dialogo? È in quella scelta che si misura la maturità. Non siamo macchine. Siamo persone che lavorano con altre persone, in condizioni spesso difficili. E proprio per questo, la capacità di riconoscere, elaborare e condividere l’errore è una delle competenze più preziose in ambito sanitario.

Chi accetta l’errore come parte della strada, diventa più attento, più responsabile, più umano. E questo, alla fine, è ciò che fa davvero la differenza in corsia.

E tu? Ti ricordi la prima volta che hai sbagliato? Che cosa ti ha lasciato?
Condividerlo potrebbe fare la differenza per qualcuno che sta vivendo esattamente quel momento.

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