29 Mag 2025, Gio

Crescere nel lavoro di cura: silenziosamente, davvero

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I giorni in cui ti senti fuori luogo

All’inizio, lavorare in un reparto è come entrare in un luogo che ha già una sua logica, i suoi codici e i suoi ritmi, mentre tu stai ancora cercando di orientarti. Chi ti circonda si muove con disinvoltura, come se tutto fosse semplice, mentre tu osservi, imiti, chiedi, e speri di non rallentare il flusso. Anche i momenti di pausa sembrano avere regole implicite che nessuno ti ha spiegato, ma che tutti sembrano conoscere.

In questa fase ogni passaggio richiede uno sforzo doppio: mentre esegui, cerchi anche di capire se stai andando nella direzione giusta. Ti muovi con cautela, eviti di sbilanciarti, tieni la voce bassa quando potresti dire qualcosa di utile. Non è una questione di insicurezza, è il naturale stato di chi è nuovo e sa che ogni gesto sarà notato più del risultato finale.

A un certo punto, però, ti rendi conto che questo senso di estraneità non è un segnale negativo. È la zona in cui si costruisce la presenza. Non si può appartenere davvero a un posto se prima non si è passati per quel periodo in cui tutto sembra distante. Proprio da quel sentirsi di lato cominci a trovare un modo tuo per esserci, non perfetto, ma vero.

Quando smetti di chiederti se stai facendo bene

C’è un momento in cui ti accorgi che stai lavorando senza dover misurare ogni azione con l’ansia di sbagliare. I gesti hanno preso ritmo, non perché siano diventati meccanici, ma perché riesci a mantenere lucidità anche quando le cose si complicano. Non hai più bisogno di controllare ogni passaggio due volte, perché hai cominciato a fidarti del modo in cui ti muovi.

Le situazioni che prima ti mettevano in difficoltà ora le riconosci prima che diventino un problema, non perché sei diventato un esperto, ma perché riesci a leggere meglio ciò che succede intorno a te. Ti orienti con più sicurezza, gestisci gli imprevisti senza perdere la calma e hai smesso di chiederti costantemente se hai fatto tutto nel modo corretto. Sai che non serve farlo perfettamente, ma in modo responsabile.

La differenza si sente a fine giornata. Sei stanco, ma non svuotato. Le cose ti toccano, ma non ti travolgono. Non è successo nulla di straordinario, eppure qualcosa è cambiato: sei dentro al lavoro con più stabilità, e non ti serve più conferma continua per sentire che stai andando nella direzione giusta.

Gli altri non ti celebrano, ma si fidano

Non c’è una dichiarazione ufficiale che segnali il momento in cui diventi affidabile, ma lo intuisci da piccoli segnali. Una collega ti include in una decisione, un paziente chiede proprio di te, un medico si rivolge a te con meno formalità. Non cambia il tuo ruolo sulla carta, ma cambia la tua percezione nell’ambiente.

La fiducia non si misura con i complimenti, ma con lo spazio che ti viene lasciato. Ti accorgi che vieni coinvolto in modo diverso, che puoi esprimere un’opinione senza sentirti fuori posto, che la tua presenza viene data per scontata nel senso più semplice del termine: ci sei, e si conta su di te. Non devi più conquistarti tutto a ogni turno.

Ti rendi conto che il lavoro non ti chiede più solo presenza fisica, ma qualcosa di più sottile e importante: affidabilità. Senza annunci e senza applausi, sei diventato parte del contesto. Non perché hai insistito, ma perché ogni giorno, nel concreto, hai mostrato che potevi esserlo.

Cominci a scegliere come esserci

Dopo un certo tempo smetti di lavorare solo per restare a galla, e inizi a scegliere con maggiore attenzione come vuoi stare in quello che fai. I tuoi gesti non sono solo corretti, ma cominciano a portare un tono, una qualità. Entri in una stanza con più consapevolezza, parli meno ma meglio, ascolti di più. Capisci che il modo conta tanto quanto il contenuto.

Hai imparato che accompagnare non è fare per l’altro, ma restare vicino mentre lui fa il suo pezzo. Che non sempre serve una spiegazione, e che anche il silenzio può essere parte della cura. Scopri che puoi dire di no senza essere rigido, che puoi prendere posizione senza scontrarti, che si può restare professionali senza diventare impersonali.

Questo non ti rende speciale, ma autentico. Non stai più cercando di imitare qualcuno, né di seguire un copione. Hai trovato un equilibrio tra il tuo carattere, la tua sensibilità, e ciò che il lavoro ti chiede. E anche se continui ad adattarti, ora lo fai scegliendo, non subendo.

Non sei arrivato, ma hai imparato a restare

Non esiste un momento in cui ti senti del tutto formato, e forse non succede mai davvero. Ma arriva una fase in cui non ti senti più sempre in ritardo, inadeguato o improvvisato. Hai smesso di misurare ogni giornata sulla base di ciò che non hai saputo fare, e hai iniziato a riconoscere anche ciò che hai gestito con attenzione, pazienza, tenuta.

Sai che continuerai a imparare, ma ora impari partendo da una base solida. Non cerchi più di cavartela a tutti i costi: ti fermi quando serve, chiedi quando hai un dubbio, ti assumi le responsabilità senza cercare di sembrare impeccabile. Lavori con la testa più libera, perché hai smesso di pensare che ogni errore possa metterti in discussione.

Hai imparato a restare. Nelle situazioni difficili, nei turni pesanti, nei momenti in cui ti viene chiesto più del previsto. Non come sacrificio, ma come scelta. E se riesci a farlo con questa consapevolezza, anche nei giorni storti, significa che hai superato quella soglia invisibile. Non per diventare qualcosa che non eri, ma per diventare una versione più stabile, concreta e presente di te stesso.

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