Nei corsi, nei protocolli e durante le riunioni, sentiamo spesso la frase: “Se noti qualcosa, segnalalo.” In linea teorica, questo approccio è corretto. La segnalazione costituisce uno strumento essenziale per migliorare la qualità, prevenire rischi e tutelare sia i pazienti sia chi fornisce le cure. È un atto di responsabilità.
Non stiamo parlando di episodi di minima importanza, come un collega che rientra un minuto in ritardo dalla pausa o una sua risposta inopportuna in un momento di stress. Ci riferiamo invece a situazioni gravi che potrebbero mettere a rischio la sicurezza dei pazienti, nuocere alla reputazione dell’istituzione o costituire atti chiaramente illegali.
Quel momento in cui ciò che hai osservato si rivela estremamente grave può penetrarti fino in fondo, scuotendoti e spingendoti a una profonda riflessione e a prendere una decisione determinante. Ed è proprio in quell’istante che il denunciare cessa di essere un concetto astratto, trasformandosi in un gesto colmo di conseguenze.
Segnalare non è solo scrivere un modulo o inviare una mail. È esporsi. È mettere in discussione colleghi, dinamiche, equilibri. È decidere di non voltarsi dall’altra parte, sapendo che questo avrà un prezzo. E che, da quel momento, qualcosa cambierà anche per te.
Il vissuto di chi segnala
Chi segnala non lo fa mai con leggerezza. Dietro una segnalazione c’è sempre un percorso interiore: osservazione, dubbio, attesa, confronto. C’è il timore di esagerare, di fraintendere, di compromettere rapporti, di “rovinare l’ambiente”.
Spesso chi segnala si porta addosso un misto di emozioni che si contraddicono: senso civico e senso di colpa, rabbia e paura, coraggio e solitudine. Non è raro che la persona si chieda più volte: “Ho fatto bene?” anche quando sa di aver visto qualcosa che non poteva ignorare.
Perché chi segnala si sente – o viene fatto sentire – come un corpo estraneo. Diventa “quello che ha parlato”, “quello che ha messo nei guai”, “quello che ha rotto l’equilibrio”. E in alcuni casi, la reazione dell’ambiente è più pesante del fatto segnalato.
Il silenzio che pesa
Eppure, il silenzio pesa. Pesa quando vedi un errore e fai finta di niente, noti qualcosa che non torna, ma ti convinci che non tocca a te.
Ogni silenzio, ogni rinuncia a dire, ogni piccola omissione si accumula. E finisce per normalizzare ciò che dovrebbe essere inaccettabile. Non si tratta solo di etica personale. È anche una questione di sicurezza, di qualità, di integrità del lavoro.
Chi segnala lo fa spesso proprio per evitare questo: che il silenzio diventi abitudine, che il compromesso diventi norma, che il “tanto è sempre stato così” diventi scusa per tutto.
La cultura organizzativa conta
Il modo in cui viene accolta una segnalazione dice molto di un ambiente di lavoro. Se chi parla viene subito isolato, guardato con sospetto, escluso dalle dinamiche di gruppo, il messaggio è chiaro: conviene tacere.
Se invece chi segnala viene ascoltato con rispetto, accompagnato nella gestione della situazione, tutelato nella sua posizione, allora si crea una cultura della trasparenza. E la segnalazione smette di essere un gesto pericoloso e diventa un atto costruttivo.
Serve coraggio, sì. Ma serve anche contesto. Nessuno dovrebbe essere lasciato solo dopo aver fatto la cosa giusta.
Fare squadra anche nel dissenso
La segnalazione non è un attacco personale. È uno strumento di protezione e miglioramento. Ma perché sia riconosciuta come tale, è necessario che tutta l’équipe – e in particolare chi ha ruoli di responsabilità – trasmetta questo messaggio con chiarezza.
Serve dire apertamente che segnalare è un diritto, e in certi casi, un dovere. Serve avere spazi di confronto veri, non solo moduli da compilare. Serve agire con coerenza: se si chiede trasparenza, bisogna poi sostenere chi la pratica.
E serve tempo. Perché cambiare una cultura fatta di silenzi e tensioni sotterranee non è facile. Ma si può fare, un gesto alla volta.
Hai mai segnalato qualcosa e ti sei sentito solo? Oppure hai taciuto, e poi te ne sei pentito?
Scrivilo nei commenti, se vuoi. Il confronto non risolve tutto, ma può alleggerire il peso.